130. I sogni di chi?

C’è un problema generazionale in corso, uno di quelli paralizzanti.

I genitori sono stati cresciuti con l’idea di l’avere un sogno per i loro bambini: vogliamo che i nostri bambini siano felici, equilibrati, affermati. Vogliamo che vivano vite intrise di significato, che contribuiscano e trovino stabilità mentre evitano situazioni dolorose.

Il nostro sogno per i nostri bambini, il sogno degli anni ’60, ’70 e anche ’80, è uno studente di successo, l’università famosa, e un buon lavoro. Il nostro sogno per i nostri bambini è una bella casa, una famiglia felice e una carriera stabile. E il biglietto da pagare per tutto questo sono buoni voti, una condotta eccellente e una università famosa.

E ora quel sogno è sparito. Il nostro sogno. Ma non è chiaro che il nostro sogno non è davvero importante. C’è un altro sogno disponibile, uno che è effettivamente più vicino alla nostra natura di esseri umani, che è più eccitante e ha più probabilità che vada a toccare il mondo in modo positivo.

Quando lasciamo sognare i nostri bambini, li incoraggiamo a fare qualcosa, e li spingiamo a fare un lavoro che serve, noi apriamo delle porte per loro che vanno verso posti difficili per noi da immaginare. Quando trasformiamo le scuole in qualcosa di più di una semplice scuola a termine per un lavoro in fabbrica, stiamo permettendo alla nuova generazione di realizzare cose di cui non sapevamo neanche l’esistenza.

Il nostro lavoro è ovvio: bisogna farci da parte, accendere una luce, e responsabilizzare una nuova generazione ad auto-insegnarsi e andare più lontano e più veloce di qualsiasi altra generazione precedente. O la nostra economia diventerà più pulita, veloce, e più giusta, o morirà.

Se vogliamo fare un tentativo con la scuola (e penso che ne valga la pena), allora dobbiamo impegnarci a sviluppare attributi che contano e smetterla di bruciare le nostre risorse in un tentativo futile di creare o rinforzare la conformità di massa.